Il conferimento davanti a una platea di 300 persone

Monicelli laureato ad honorem dall'università di Udine

“L’uomo è un viandante, alla costante ricerca dell’irraggiungibile”

“Bisogna andare, conoscere, affrontare l’imprevisto, non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche con il cervello. Sempre cercare qualcosa di irraggiungibile, forse di impossibile da trovare. L’uomo è un viandante e i mie film nascono tutti da quest’idea”. È dalla ricerca costante, infatti, che nasce il destino di ogni uomo secondo Mario Monicelli, uno dei più grandi maestri del cinema italiano (tra gli altri “La Grande guerra”, “I soliti ignoti”, “Amici miei”, “Parenti serpenti”), che l’università di Udine ha laureato dottore magistrale ad honorem in Storia e civiltà europee, “per aver fornito – come recita la motivazione – uno straordinario contributo alla conoscenza della storia d’Italia con le sue opere cinematorgrafiche, in particolare con il film La Grande guerra”. Si tratta della prima nuova laurea magistrale ad honorem conferita dalla facoltà di Lettere dell’ateneo friulano, come ha sottolineato la preside Caterina Furlan.

“Maestro” della cinematografia e della storia, certo, ma anche molto di più. Monicelli è quel tipo di maestro, come ha ricordato il rettore Honsell, “che ci ha insegnato le cose che ricorderemo per tutta la vita”. Ma ci sono anche altre motivazioni per questa laurea ad honorem, oltre a quelle istituzionali. Le ha svelate Umberto Sereni, nella sua informale laudatio: Monicelli è colui che “ci ha portato nel giardino della felicità”, che “ci ha fatto sognare e ha utilizzato il cinema come strumento del sogno”. E Monicelli accetta il riconoscimento non senza emozione. E quando rientra sul palco per sedersi accanto alla commissione togata e pronunciare parole di ringraziamento, riceve dalla platea di 300 persone che ha gremito la chiesa di San Francesco un applauso lunghissimo culminato con una standing ovation.

“Sono imbarazzato sia per la celebrazione sia per il costume (la toga) che mi rendono molto fiero. È difficile che mi emozioni alla mia età – ha detto, ripercorrendo brevemente la storia dei suoi film – Ho raccontato storie che mi appartenevano, il mio cinema non era frutto della fantasia: le idee erano rubacchiate da letture, racconti di amici, ricordi degli anni di scuola”. Poi spende qualche parola per raccontare il “suo” Novecento, “uno dei secoli più turbolenti, più intensi e più pericolosi, che ha fatto nascere una delle teorie più atroci e antiumane: la guerra preventiva, instaurata dai nazisti, che adesso è diventata lo slogan di molti paesi occidentali”. Quindi si lascia andare ai ricordi, nel Friuli che lo accoglie sempre con entusiasmo e dove ammette di tornare “volentieri perché è una terra a cui mi sento legato” da quando ha girato nel 1959 “La grande guerra”. E racconta che “da giovane avevo ambizioni più alte, volevo scrivere e fare il letterato. Poi a 15 anni mi sono imbattuto nella lettura delle Memorie del sottosuolo e ho capito che era meglio che facessi altro. Ho fatto bene” ammette. E ha fatto bene anche per il suo pubblico con cui ha festeggiato i suoi 90 anni, compiuti lo scorso 15 maggio. “È un’età difficile da raggiungere e che si raggiunge una sola volta nella vita – ha scherzato – La mia ambizione ora è di festeggiare con voi i vostri 90 anni”.

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