Dibattito tra esperti ed esponenti del mondo accademico, associativo, imprenditoriale e delle istituzioni: la mobilità dei cervelli è positiva ma dobbiamo fare in modo che ritornino a casa
Presentato il Quaderno di Cantiere Friuli "Nuova emigrazione" di Gian Pietro Zaccomer
Il rettore Pinton: “Per trattenere i giovani dobbiamo far crescere le richieste di alte professionalità da parte del mondo produttivo e culturale”
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Tavola rotonda: da sinistra Mosanghini, Pinton, Segatti, Nencioni, De Luca
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Saluti di Mauro Pascolini
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Alberto Felice De Toni, Presidente Fondazione CRUI
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Mauro Pascolini, presenta la collana editoriale
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Gian Pietro Zaccomer presenta il volume
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Il volume "Nuova emigrazione"
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Sala con pubblico
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Da sinistra Mosanghini, Pinton, Segatti, Nencioni, De Luca
I laureati in Friuli hanno una formazione più elevata di quelle richiesta dal mondo produttivo e culturale del territorio, per farli rimanere o tornare occorre fare un investimento su tutto il sistema partendo dalla formazione per arrivare alla qualità della vita di un territorio.
Convergono su questa tesi gli esponenti del mondo accademico, associativo, imprenditoriale e delle istituzioni che si sono confrontati, nella sede della Fondazione Friuli, alla tavola rotonda sulla “Nuova emigrazione, la propensione all’espatrio dei laureandi dell’Università di Udine” al centro della presentazione dell’omonimo Quaderno nella collana editoriale del Cantiere Friuli dell’ateneo udinese diretto dal prof. Mauro Pascolini . Il volumetto è stato curato dal prof. Gian Pietro Zaccomer, ricercatore di Geografia economico-politica del DILL, Dipartimento di lingue e letterature, comunicazione, formazione e società dell’Università di Udine e pubblicato da Forum Edizioni.
Zaccomer, che ha effettuato una ricerca su quasi 1200 studenti dell’Università del Friuli, ovvero tutti i laureandi degli anni accademici 2017-18 e 2018-19, ha sottolineato che il 20% dei laureandi intende stabilirsi all’estero per tornare a casa solo per le vacanze, ma è un dato che tende ad aumentare perché molti di coloro che si recano all’estero per lavoro con l’intenzione di tornare, poi, costruiscono una famiglia all’estero, oppure non trovano le condizioni lavorative e di vita per rientrare. “Il fenomeno della mobilità dei cervelli – ha commentato Zaccomer - non può e non deve essere fermato, ma va gestito per non perdere alte professionalità, ma se il sistema Italia, come sta facendo, disinveste sulla ricerca pubblica, stante l’insufficienza di quella privata, allora dobbiamo aspettarci che nel futuro il fenomeno della fuga dei cervelli aumenti.”
Il neo rettore dell’ateneo friulano, Roberto Pinton, alla sua prima uscita pubblica con il nuovo incarico, si è soffermato sul concetto di attrattività: “Dobbiamo rendere i nostri studenti affezionati ai nostri corsi rendendo attrattivo l’intero percorso dell’Università, ma ancora più importante è rendere attrattivo l’Ateneo per gli studenti stranieri. Il problema di oggi è il miss match, ovvero il disallineamento tra le capacità formative delle Università e la richiesta del sistema produttivo. In questo momento, in Italia, formiamo laureati con qualificazioni troppo elevate per le richieste del sistema, e questo gap è più alto rispetto ad altri paesi europei e i nostri giovani se ne stanno accorgendo. Gli incentivi fiscali del governo per il rientro dei ricercatori? Possono aiutare ma il vero tema è far crescere le richieste del sistema produttivo in senso lato e anche al sistema culturale perché possano offrire opportunità ai nostri studenti”.
Guarda con positività alla mobilità intellettuale il presidente della Fondazione Crui e già rettore a Udine Alberto Felice De Toni: “Se un giovane americano si laurea a New York e va a lavorare a Los Angeles nessuno si scandalizza. Perché fa problema se i nostri ingegneri vanno a lavorare in Germania, siamo o non siamo in Europa! Il tema è come facciamo a far rientrare dall’ Europa questi ingegneri che possono portare con loro un patrimonio di competenze e relazioni di grande valore. I ragazzi vanno a cercare i lavori per cui sono stati formati, se qui non li trovano, come facciamo a dir loro di restare”. Ma l’Università cosa può fare? “Siamo il paese che investe nemmeno l’1% del Pil in ricerca, uno dei valori più bassi in Europa, se questa percentuale aumentasse investiremmo sui giovani per farli lavorare qui” conclude De Toni.
Anche Michele Nencioni, direttore di Confindustria Udine non considera negativa la mobilità dei nostri cervelli: “Il problema è che da noi in Italia e in Friuli non c’è brain drain, non dreniamo alte professionalità dall’estero. Il privato da solo non ce la può fare, deve esserci un ragionamento di sistema e anche la Regione Friuli VG può utilizzare risorse come quelle della legge Sviluppo Impresa per allocare risorse nell’innovazione e anche varare sgravi Irap per chi assume alte professionalità”.
Ketti Segatti, direttrice centrale lavoro, formazione, istruzione e famiglia dell’amministrazione regionale ha affermato che la partenza di questi ragazzi è motivata non solo dalla ricerca di lavoro, ma dalla volontà di migliorare la propria qualità della vita e la propria formazione. “Da qui dobbiamo partire per pensare a degli strumenti della Regione Friuli FVG per valorizzare le professionalità formate nei nostri atenei, ovvero dobbiamo progettare un’azione, non di carattere difensivo ma attrattivo; questo comporta il coinvolgimento di una filiera che parta dall’alta formazione, coinvolga il mercato del lavoro per renderlo capace di venire incontro alle aspettative dei giovani e arrivare ad azioni per rendere il territorio attrattivo per la qualità della vita delle persone.”
Una visione con cui concorda Anna Pia De Luca, vice presidente vicaria dell’Ente Friuli nel Mondo: “ Credo che i ragazzi si spostino non solo per una questione di lavoro, ma anche per un desiderio di confrontarsi con il mondo e vogliono sperimentare nuove cose. Non è solo una questione di soldi, ma una ricerca di un ambiente piacevole dove vivere. Per far sì che questo arricchimento abbia ricadute positive sul paese di origine occorre ricompensare chi vuole tornare.”
I dati presentati nel volume curato dal prof. Zaccomer presentano anzitutto la situazione italiana: l’Istat dichiara che, a livello nazionale, per il 2016, considerando i soli cittadini italiani di età superiore ai 24 anni, sono espatriati 24.678 laureati, ossia il 30,8% della popolazione di riferimento (nello stesso anno sono rimpatriati 10.199 laureati, quindi nel solo 2016 sono stati persi 14.479 laureati). Nel 2017 l’emorragia è continuata con una fuoriuscita di 25.566 laureati, ossia il 31,1%, con perdita di 13.457 laureati limitata dal rientro di cittadini italiani da Brasile, Venezuela e Argentina. Quanto all’indagine statistica condotta dall’Università di Udine, essa mira ad avere un carattere censuario, poiché ha inteso intervistare tutti i laureandi degli anni accademici 2017-18 e 2018-19. La somministrazione del questionario è avvenuta attraverso il Sistema informatico di gestione della didattica nel momento della consegna della domanda di laurea. Si tratta di un caso unico in Italia, poiché tutte le altre indagini lavorano a livello campionario. L’analisi condotta da Uniud copre sostanzialmente il mese di aprile 2018 ed è relativa a 1.172 studenti di nazionalità italiana (di cui 50,2% femmine e 49,8% maschi). Quasi il 44% dei laureandi, dunque, prende in considerazione la possibilità di trasferirsi all’estero per continuare a studiare e/o per lavorare. «Non esiste un “caso Udine” – precisa Zaccomer - in quanto il dato è grosso modo in linea con altre indagini campionarie condotte in Italia». Considerando le motivazioni, il 56% ritiene che andare all’estero sia comunque un’esperienza positiva da farsi per poter crescere personalmente, il 17% ritiene che sia una necessità odierna per il lavoro, il 18% ritiene che sia necessario per imparare nuove cose. «Quanto alla durata della permanenza – sottolinea Zaccomer - il 20% pensa già a una uscita definitiva, mentre tra i Paesi di destinazione più gettonati dai laureandi – continua - ritroviamo quelli di consolidata tradizione migrazione per gli italiani: in testa l’UK e l’Irlanda segnalati dal 54% che molto probabilmente scontano, come a livello nazionale, dell’effetto della Brexit. Anche per i laureandi dell’ateneo friulano – conclude – risulta valido il principio “mobilità richiama mobilità” a livello internazionale: il 72% di chi ha fatto un’esperienza di mobilita universitaria all’estero durante i propri studi universitari considera già la possibilità di ritornare all’estero (per studio o per lavoro) dopo il conseguimento del titolo».