Una vasta necropoli risalente alla seconda metà del III millennio a.C., nei pressi dell’oasi di Palmira, nella Siria centro-occidentale, costituita da una trentina di tumuli funerari. Una strada romana che collegava la città carovaniera di Palmira con la Siria occidentale lungo la quale sono stati rinvenute 11 pietre miliari con iscrizioni in latino che menzionano l’imperatore Aureliano e una stazione stradale di sosta di epoca imperiale perfettamente conservata. Sono alcune delle straordinarie scoperte fatte in Siria nel corso della decima campagna di scavi della missione archeologica coordinata dall’Università di Udine e dalla Direzione generale delle Antichità e dei musei di Siria, iniziata ad agosto e da poco conclusa. Intanto, il Metropolitan Museum of Art di New York ha voluto alcuni dei più importanti reperti rinvenuti a Qatna anche dagli archeologi dell’Ateneo per la mostra archeologica “Beyond Babylon. Art, Trade and Diplomacy in the Second Millennium B.C.”, che proseguirà fino al 15 marzo 2009.
Nell’ultima campagna di scavi il team di ricercatori dell’ateneo friulano ha anche portato alla luce un grande palazzo e un edificio costruito sui muri crollati del Palazzo Reale nell’antica capitale siriana di Qatna, l’odierna Mishrifeh, dopo le distruzioni subite dalla città attorno al 1340 a.C. ad opera degli ittiti. Sempre nel sito di Mishrifeh, gli archeologi hanno ritrovato una vasta collezione di oggetti di inestimabile valore storico-artistico risalenti al XIX secolo a.C. quali uno splendido esemplare di statuetta votiva in terracotta legata al culto di Ishtar, la dea siriana dell’amore e della guerra; ceramiche di lusso di produzione siriana e importate dall’area egea e dall’Oriente mesopotamico e una raccolta di cretule d’argilla con impronte di sigilli cilindrici e iscrizioni in caratteri cuneiformi.
La componente italiana della missione archeologica congiunta, diretta dai professori Daniele Morandi Bonacossi e Michel Al-Maqdissi, è composta da una squadra internazionale di specialisti in diversi campi della ricerca (archeologia, restauro, topografia, informatica, antropologia fisica, archeozoologia, archeobotanica, palinologia, geomorfologia, pedologia, archeometria, geofisica) e da 25 studenti delle università di Udine, Aleppo, Damasco e Mosca.
«L’integrazione delle attività di scavo – spiega Morandi Bonacossi – in una delle grandi capitali della Siria antica e di ricognizione lungo le vie carovaniere che attraversavano il deserto della Palmirena occidentale portando a Qatna e al Mediterraneo permette fin d’ora di iniziare a ricostruire un quadro d’insieme del popolamento, della vita e dell’ambiente antico in una delle regioni più cruciali del Vicino Oriente, cerniera e mediatrice fra l’Occidente mediterraneo da un lato e l’Oriente mesopotamico dall’altro».
La missione archeologica dell’Università di Udine in Siria è condotta grazie al sostegno dell’ateneo friulano della Fondazione Crup, del ministero degli Affari esteri e della catena di ristoranti “Le mille e una notte”. «In tempi caratterizzati da pesantissimi tagli alla ricerca – aggiunge Morandi Bonacossi – i nostri sostenitori si assumono l’onere di contribuire a un progetto scientifico finanziariamente impegnativo. L’insufficienza dei fondi si sta però facendo sentire in maniera allarmante ed è auspicabile che in futuro si aggiungano nuovi sponsor locali per permettere il regolare svolgimento della annuali campagne archeologiche in Siria i cui risultati portano il nome della nostra Università e del Friuli nel mondo».
I ritrovamenti nel sito dell’antica capitale Qatna
Quest’anno l’attività di ricerca a Qatna si è concentrata su una vasta area a ridosso del grande Palazzo Reale. Più di 1500 metri quadrati sono stati scavati sull’acropoli della città dell’età del Bronzo Medio e Tardo (II millennio a.C.). Ciò ha permesso di mettere in luce le vestigia di un edificio monumentale, chiamato Palazzo Orientale per la sua posizione a est del Palazzo Reale, già parzialmente esplorato nel corso della campagna del 2007. «Il ritrovamento – spiega Morandi Bonacossi – è eccezionale non solo per il carattere imponente dell’edificio stesso, composto da almeno 25 stanze articolate intorno a un’ampia corte, ma anche per il periodo in cui esso fu costruito. Il palazzo, infatti, fu fondato alla fine dell’età del Bronzo Medio I (XIX secolo a.C. circa), epoca per la quale fino ad oggi a Qatna non erano note testimonianze architettoniche monumentali e rimase in uso con numerose opere di ristrutturazione per circa 500 anni». Gli scavi nell’ala sud del Palazzo hanno permesso di ritrovare svariati reperti di inestimabile valore. Fra questi, una collezione di “cretule” (grumi di argilla utilizzati per chiudere contenitori o porte e poi “sigillati” con sigilli cilindrici incisi) rinvenute sui pavimenti di una cucina.
«La scoperta – spiega il professor Morandi Bonacossi – è di assoluto rilievo, non solo per i motivi iconografici conservati, che mostrano evidenti influssi egiziani su figure dai chiari tratti siro-mesopotamici, ma anche per la presenza di iscrizioni scritte in cuneiforme. L’importanza di queste ultime è enorme». Esse infatti forniscono informazioni dirette sia sul personale operante all’interno del Palazzo sia su vicende storiche del tutto sconosciute. « Ad esempio, una di queste sigillature sembra portare un’iscrizione di Sumu-Epukh, il grande re del regno di Yamkhad con capitale ad Aleppo della fine del XIX-inizio del XVIII sec. a.C.. Dalle fonti storiche sappiamo che in questo periodo il re di Qatna, Ishhi-Addu, era un fiero nemico del sovrano di Aleppo, ma, evidentemente, ciononostante continuava a importare merci da Yamkhad poiché la cretula con l’impronta di sigillo di Sumu-Epukh serviva a sigillare un contenitore di derrate alimentari. La guerra infuriava, ma gli affari continuavano…business is business».
In diversi ambienti del Palazzo gli archeologi friulani hanno rinvenuto una collezione di oggetti di alto valore artistico. Degni di nota sono uno splendido esemplare di statuetta votiva in terracotta, probabilmente legata al culto di Ishtar, la grande dea siriana dell’amore e della guerra, oltre a numerosi altri oggetti di pregio: spilloni di bronzo, reperti d’avorio e pietra lavorata e ceramica di lusso di produzione locale e importata dall’area egea e dall’Oriente mesopotamico.
Nell’area settentrionale del Palazzo Orientale sono state identificate diverse fasi di ricostruzione avvenute all’interno dell’edificio. E’ stata rinvenuta un’intera ala della fabbrica palatina oltre a una serie di modifiche radicali della planimetria dell’intero edificio. «La grandiosità di questi lavori di ristrutturazione – sottolinea Morandi Bonacossi –è ancora una volta prova della monumentalità del quartiere reale di Qatna, i cui scavi hanno finora restituito una serie di edifici pubblici, come il Palazzo Reale, il Palazzo Meridionale e il Palazzo della Città Bassa, che pochi altri siti nell’intero panorama archeologico vicino orientale possono vantare».
I lavori della missione non si sono però limitati al settore monumentale di Qatna. Infatti, gli scavi hanno interessato anche un’area residenziale in uso in un periodo immediatamente posteriore alla distruzione del Palazzo Reale e al crollo di Qatna come capitale regionale (1340 a.C. circa). Il ritrovamento di una grande abitazione costruita direttamente sui muri crollati del Palazzo Reale ha fornito per la prima volta la prova archeologica della continuità della vita nella città dopo la distruzione degli edifici monumentali dell’acropoli operata probabilmente attorno al 1340 a.C. dall’esercito ittita, sotto la guida del Grande Re Shuppiluliuma I. «Anche in questo caso – afferma Morandi Bonacossi – i risultati ottenuti hanno un valore eccezionale, in quanto poco o nulla era noto da un punto di vista archeologico della Qatna posteriore alla distruzione del quartiere reale».
Le scoperte nel deserto della Palmirena
Il secondo progetto della missione ha ampliato lo studio intensivo che l’Università di Udine sta portando avanti da ormai dieci anni nella Siria centro-occidentale attraverso una ricognizione di superficie nel deserto a ovest della città carovaniera di Palmira. Le ricerche sono condotte assieme alla Direzione generale delle Antichità e dei musei di Siria, con il professor Michel Al-Maqdissi e il signor Shadi Chabo, e all’Università di Milano con il professor Mauro Cremaschi. Nel III secolo d.C. la città fu residenza della celebre regina Zenobia, ribellatasi a Roma, sconfitta dall’imperatore Aureliano e portata nel 274 d.C. in trionfo a Roma legata con catene d’oro al carro imperiale. Alcune settimane sono state dedicate non solo alla mappatura della grande via carovaniera che, almeno dal III millennio a.C., univa il Mediterraneo a Qatna e, più a oriente, alla Mesopotamia, ma anche alla ricostruzione del clima e dell’ambiente naturale antichi che caratterizzavano la regione compresa fra Qatna e l’oasi di Palmira. «I ritrovamenti – racconta Morandi Bonacossi – sono stati numerosissimi e attraversano i millenni della preistoria e della storia siriane dal Paleolitico all’epoca islamica».
In un’area limitrofa all’oasi di Palmira gli archeologi italiani e siriani hanno rinvenuto una vasta necropoli, costituita da una trentina di grandi tumuli funerari, databili alla seconda metà del III millennio a.C. «È la prima prova – spiega il docente – di occupazione di un’area semi-desertica esterna all’oasi di Palmira durante l’età del Bronzo Antico. I futuri scavi dei tumuli sepolcrali forniranno indubbiamente informazioni di fondamentale valore». All’identificazione di un tratto della strada romana che collegava Palmira con la Siria occidentale, lungo il quale sono stati rinvenuti 11 pietre miliari con iscrizioni in latino che menzionano l’imperatore Aureliano, ha fatto seguito il ritrovamento di una probabile “mansio”. Si tratta di una stazione stradale di sosta di epoca imperiale, perfettamente conservata dalle sabbie del deserto palmireno che la coprirono quasi completamente. A tutto ciò si è unito il ritrovamento di diversi siti risalenti alla preistoria più antica (Paleolitico, Epipaleolitico e Neolitico), probabilmente accampamenti di cacciatori di gazzelle le cui rotte migratorie attraversavano stagionalmente il deserto siriano, come alle epoche più tarde del periodo bizantino e islamico.