Ricercatori in Ghana, Sierra Leone e Togo nell’ambito del progetto BeBi coordinato da Udine

Africa, fertilità dei suoli e deforestazione: missione dell'Università di Udine

L’Ateneo brevetta una innovativa stufa pirolitica
per le popolazioni africane

Missione africana in Ghana, Sierra Leone e Togo per il gruppo di ricercatori del dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’Università di Udine, capofila del progetto internazionale “Benefici agricoli e ambientali derivanti dall’utilizzo del biochar (carbone vegetale) nei Paesi africani” (Bebi). Il team ha presentato presso università, scuole tecniche e istituzioni locali un innovativo modello di stufa pirolitica, chiamata Elsa Stove, sviluppato e brevettato dall’Ateneo con l’intento di farla adottare dalle popolazioni rurali per le sue caratteristiche di alto rendimento, assenza di emissioni nocive e produzione di carbone vegetale. L’iniziativa punta a favorire l’utilizzo più efficiente dei residui colturali e, in particolare del legno, nei tre Paesi africani sedi del progetto, incoraggiando l’adozione di stufe pirolitiche, cioè a combustione lenta di biomasse in assenza di ossigeno. Obiettivo del progetto BeBi, finanziato dall’Unione europea (ACP Science and Technology Programme), è infatti quello di contrastare la deforestazione e aumentare la fertilità dei suoli tramite il carbone vegetale, prodotto dalle notevoli proprietà fertilizzanti che si ottiene dalla pirolisi. Per informazioni: www.bebiproject.org.
 
Al progetto lavora il gruppo coordinato dal professor Alessandro Peressotti che, assieme al ricercatore Giorgio Alberti e all’esperto Carlo Ferrato, hanno partecipato alla missione. Partner dell’iniziativa sono il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), le università di Lomè (Togo), Njala (Sierra Leone) e Cape Coast (Ghana) e le organizzazioni non governative Asa-Initiative (Ghana), Sauve-Flore (Togo) e Cord (Sierra Leone).
 
Elsa Stove, caratteristiche e benefici
Con la nuova stufa è possibile ottenere alti rendimenti con bassissime emissioni nocive. Si riducono così al minimo la produzione di monossido di carbonio e di particolato, tra le cause principali delle emissioni inquinamenti nelle abitazioni che provocano ogni anno milioni di morti nei Paesi in via di sviluppo per le malattie dell'apparato respiratorio. La stufa è stata adattata ai principali residui agricoli presenti in Ghana, Sierra Leone e Togo in modo da ridurre l’impiego di legna per cucinare. Inoltre, grazie al processo di pirolisi, parte della biomassa utilizzata nella stufa viene trasformata in carbone vegetale che, aggiunto ai suoli agricoli, migliora la loro fertilità. La stufa è nata dall’attività di ricerca del dipartimento di Scienze agrarie e ambientali e, in particolare, dall’esperto Carlo Ferrato e dallo studente di Ingegneria, Davide Caregnano.  
 
La missione
«Grazie a una stretta collaborazione tra il dipartimento e gli atenei africani partner del progetto – spiega Peressotti –, sono stati condotti i primi esperimenti in ambiente controllato e in campo del carbone vegetale, che hanno mostrato un effetto positivo sulle colture con significativi aumenti delle rese». Oltre all’attività di trasferimento tecnologico, i ricercatori friulani sono andati anche nelle zone rurali per fare delle dimostrazioni, insegnando alle popolazioni locali a realizzare la stufa utilizzando materiale comune.
 
Il contesto generale

Almeno la metà della popolazione mondiale cucina regolarmente il cibo usando le biomasse come combustibile, mentre centinaia di milioni di persone utilizzano ancora un fuoco semplice, delimitato da un cerchio di pietre, come avveniva già migliaia di anni fa. Questo sistema è poco efficiente e richiede molto più combustibile del necessario. Il che si traduce in un progressivo degrado ambientale degli ecosistemi, in un aumento del tempo necessario per raccogliere il combustibile o in una spesa notevole per acquistarlo. Inoltre, i sistemi di combustione poco efficienti producono grosse dosi di inquinanti che, unite all'utilizzo del fuoco di cottura, spesso all’interno delle abitazioni, hanno un grave impatto sul sistema respiratorio delle persone esposte, per la maggior parte donne e bambini.

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