Scoperti anche quattro “aquiloni del deserto”, enormi trappole per l’abbattimento in massa di branchi gazzelle
Quattro tumuli funerari monumentali della seconda metà del III millennio a.C., il più grande dei quali ha 17 metri di diametro, sono stati portati alla luce nella Siria centro-occidentale dagli archeologi delle università di Udine e Milano e della Direzione generale delle antichità e dei musei di Siria. La scoperta è avvenuta durante la terza campagna di ricerche congiunta della missione italo-siriana nel deserto della Palmirena. Le tombe fanno parte della grande necropoli di Rujum al-Majdur, costituita da una ventina di tumuli, scoperta nel 2008 vicino all’oasi di Palmira. Nella stessa area, nel corso dell’ultima campagna, gli archeologi hanno anche identificato quattro enormi trappole per l’abbattimento in massa di branchi di gazzelle, la cui costruzione precede l’utilizzo del sito a scopo funerario. Per la loro somiglianza dall’alto con gli aquiloni, le trappole furono chiamate “aquiloni del deserto” dai piloti inglesi della rotta postale Cairo-Baghdad, che li fotografarono per la prima volta alla fine degli anni venti del secolo scorso.
La missione archeologica italo-siriana intende ricostruire l’occupazione umana nella regione dell’oasi di Palmira, nonchè il clima, l’ambiente naturale e la loro evoluzione fra la preistoria e l’epoca moderna. Si tratta di un territorio, ora desertico, mai studiato in maniera sistematica soprattutto per quanto riguarda i millenni che precedono l’epoca ellenistica e la grande fioritura di Palmira come città carovaniera in età romana. Il progetto è coordinato dai professori Daniele Morandi Bonacossi e Mauro Cremaschi, rispettivamente degli atenei di Udine e Milano, e dal professor Michel Al-Maqdissi della Direzione generale delle antichità e dei musei di Siria.
Il territorio circostante l’oasi di Palmira fu crocevia d’importanti rotte carovaniere che collegavano l’Oriente mesopotamico con l’Occidente mediterraneo. «La missione archeologica nella regione – spiega Morandi Bonacossi – è iniziata nel 2007 come completamento del progetto di scavo nel sito di Qatna, l’antica capitale siriana, l’odierna Mishrifeh». Nella prima metà del II millennio a.C. Qatna era in diretto contatto con Palmira, l’antica Tadmur, già allora importante centro lungo il grande asse commerciale che collegava Babilonia al Mediterraneo e posto di confine fra i regni di Qatna e Mari.
I tumuli monumentali
Le quattro tombe della necropoli di Rujum al-Majdur portate alla luce hanno una struttura circolare, costituita da pietre di grandi dimensioni messe in opera a secco, che delimitavano una camera funeraria centrale. La grande maggioranza delle tombe fu però saccheggiata già in epoca antica e solo piccole quantità di frammenti ceramici sono sopravvissute fino a noi. L’assenza di un insediamento associato alla necropoli e la tipologia funeraria del tumulo permette di associare le sepolture alle comunità pastorali che in questo periodo vivevano nella steppa semi-arida attorno all’oasi di Palmira.
Ruolo e funzione della necropoli
L’utilizzo di tumuli funerari per le sepolture degli esponenti più influenti di queste comunità tribali indica l’esistenza di riti funerari e di un simbolismo volti a individuare alcuni membri dei gruppi pastorali e a promuoverli nella limitata cerchia degli antenati della comunità. Nel contempo questo determinava la necessità da parte della comunità dei vivi di raccogliersi attorno ai monumenti funerari. I tumuli di Rujum al-Majdur e della Palmirena occidentale rappresentavano anche dei marcatori del territorio tribale lungo le vie carovaniere internazionali.
Gli aquiloni del deserto
Si tratta di grandi recinti poligonali di pietra, con diametro anche di 150 metri, con un ingresso ristretto, dal quale divergono a “V” due muri di pietre, che si prolungano nel deserto per centinaia di metri, in alcuni casi anche per chilometri. Nel caso degli “aquiloni del deserto” di Rujum al-Majdur e della Palmirena, l’estremità aperta della “V” formata dai muri si trovava su un fianco di una montagna o di un’altura. Il recinto poligonale, invece, con i suoi angoli delle camerette circolari nelle quali verosimilmente prendevano posto i cacciatori, era nascosto alla vista degli animali sull’altro versante. Gli “aquiloni del deserto” erano posti lungo le vie di migrazione dei branchi di gazzelle, che venivano deviati dai cacciatori verso l’apertura del recinto destinato al loro abbattimento. Si trattava di una caccia di massa di animali selvatici altamente specializzata, che implicava una perfetta conoscenza del deserto e delle rotte migratorie delle gazzelle, oltre che una capacità di coordinamento e organizzazione dei battitori e dei cacciatori estremamente sviluppata.