L'assistenza cambia se abbiamo dinnanzi un bambino cinese o una donna musulmana

Un incontro ha chiarito i rapporti tra extracomunitari e sanità pubblica

Che gli immigrati stiano lievitando sensibilmente lo attestano anche i dati degli iscritti all’anno accademico 2003-2004 dell’ateneo udinese. 356 sono gli allievi stranieri, la maggior parte provengono dall’Albania (102), seguono i croati (75) e gli sloveni (23). Molti vengono da Paesi assai lontani e da culture diverse dalla nostra, ben 14 ragazzi, infatti, provengono dal Camerun, altri sono nati in Rwanda, Senegal e Somalia, Ucraina, Turchia, Colombia. In provincia di Pordenone sono oltre13mila gli stranieri e dal 1997  al 2002, il numero di stranieri residenti è più che triplicato, con un’incidenza demografica che si attesta a livello provinciale attorno al 4,52 per cento. Un dato superiore alla media in Friuli Venezia Giulia. Un extracomunitario con le sue abitudini, usi  e costumi, che viene a contatto con la nostra sanità regionale, si troverà davanti ad un’assistenza che non è la sua, ad un’accoglienza diversa, a situazioni inimmaginabili. Quando si parla di immigrazione e di salute, infatti, entra in gioco sempre un’altra variabile: la comunicazione.

            L’antropologa Daniela Cozzi, relatrice al convegno “Di un altro Paese ma non estraneo. La multiculturalità negli ambienti di cura”, organizzato dall’Università di Udine (corso di laurea in Infermieristica di Pordenone), dall’azienda ospedaliera Santa Maria degli Angeli di Pordenone e dal Consorzio universitario del Friuli, ci ha fatto notare come non sia indicato per un uomo porgere la mano ad una donna musulmana, a meno che non sia lei la prima a farlo perché abituata ai nostri usi. Se un bambino cinese, per fare un altro esempio, non guarda negli occhi un adulto mentre parla, non è indice di scarsa attenzione, ma al contrario, di vigile ascolto. Cozzi ritiene che “non è la stessa cosa essere un indiano, fisico nucleare che ha studiato ad Harvard e lavora nell’Area di ricerca di Trieste, come essere un albanese  che proviene da una zona rurale e lavora nella zona industriale di Maniago e che viene accolto perché non entra in concorrenza con il mercato del lavoro specializzato”.

            Salvatore Geraci della Società italiana di Medicina delle migrazioni ha fatto luce a livello legislativo. “Una circolare ministeriale che risale al 24 marzo 2000, assieme alle indicazioni contenute nelle ultime due edizioni del Piano sanitario nazionale (Psn) – così si è espresso – hanno evidenziato una politica sanitaria estremamente attenta e pragmatica. Si è definita l'inclusione a pieno titolo degli immigrati in condizione di regolarità giuridica nel sistema di diritti e doveri per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, a parità di condizioni ed a pari opportunità con il cittadino italiano”. I relatori del convegno si sono soffermati sulla figura del mediatore culturale, che dev’essere considerato a tutti gli effetti “un ponte”, un facilitatore nel processo di avvicinamento ed integrazione di diverse culture. Grazie a lui, la diversità culturale diventa qualcosa che unisce, piuttosto che divide. E’ stato, peraltro, evidenziato che è in continua evoluzione la composizione delle classi negli asili e nelle scuole e, quindi, gli amministratori dovranno affrontare diverse questioni, non da ultimo il cambiamento delle mense scolastiche in funzione delle diverse esigenze alimentari. Tra gli esempi più eclatanti in Italia di integrazione, quello riportato da Giovanna Vittoria Dallari, responsabile Progetto speciale immigrati dell’Usl “Città di Bologna” e coordinatore del gruppo regionale “Ospedale Interculturale per la Promozione della salute mediante Servizi Sanitari multiculturali”.

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