27 gennaio, Giorno della Memoria
La riflessione del rettore Roberto Pinton
Il 27 gennaio 1945 le avanguardie del 62° corpo delle armate sovietiche del fronte ucraino entravano ad Auschwitz, a nord-est di Cracovia, in Polonia, salvando un centinaio di superstiti e incaricandosi di seppellire innumerevoli poveri resti. Il campo di sterminio simbolo della follia e della barbarie nazista, attivato nel maggio del 1940, fu così liberato e la giornata del 27 gennaio è stata riconosciuta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come la Giornata della Memoria.
La celebrazione, e soprattutto il ricordo, di questa aberrante pagina della storia dell’umanità è oggi più che mai indispensabile anche alla luce di un crescente negazionismo che investe, purtroppo, anche il nostro paese e può condizionare il comportamento, in particolare, delle persone più giovani.
Ecco perché ritornano perentorie le parole di Primo Levi, sopravvissuto alla deportazione nel campo di concentramento e autore del romanzo “Se questo è un uomo” che, nel descrivere l’orrore di quell’esperienza, ci rammenta il dovere di non dimenticare: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».
Il Giorno della Memoria è importante per non far cadere nel silenzio il ricordo del genocidio nazista e per mantenere viva la riflessione sulle condizioni che hanno permesso la realizzazione di un tale abominio. Forte deve essere la consapevolezza che un tale dramma non abbia a ripetersi e che la straziante testimonianza di chi l’ha vissuto continui a essere un monito ogniqualvolta vi sia il rischio che un genocidio possa avere luogo in qualche parte del mondo o, peggio, se perpetrato rimanga ignorato.
Il Rettore, Roberto Pinton