Si conclude il ciclo ‘Over the top’ promosso da dipartimento di Studi umanistici e Istituto Maritain

Doping e limiti nello sport: ritirarsi, lasciare, fallire

Giovedì 12 dicembre, alle 15, al Castello di Udine,convegno
con Alessandro Donati, fra i maggiori esperti antidoping in Italia

Il limite – fisico, psicologico, medico – nello sport, e il connesso tema del doping, saranno discussi nel convegno “No limits? Ritirarsi, lasciare, fallire: parole impronunciabili o verbi che fanno scuola?” che si terrà giovedì 12 dicembre, alle 15, nel Salone del Parlamento del Castello di Udine.

Ad animare il dibattito, organizzato dal dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Udine in collaborazione con l’Istituto ‘Jacques Maritain’, interverranno: Alessandro Donati, già tecnico della nazionale di atletica, oggi consulente dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada), uno di massimi protagonisti della lotta al doping in Italia; Pietro Trabucchi, docente di coaching all’Università di Verona e psicologo delle squadre nazionali di ultramaratona; Santo Davide Ferrara, docente di Medicina legale all’Università di Padova, esperto di antidoping.

L’incontro conclude il ciclo “Over the top. Prestazioni, doping e limiti: il senso dello sport e il senso della vita” promosso dall’Ateneo friulano e dall’Istituto ‘Maritain’.

«Lo sport – spiega Luca Grion, docente di Filosofia morale all’Ateneo friulano e coordinatore scientifico del ciclo di conferenze – è visto come scuola di vita dove imparare a godere dei propri successi senza arroganza e a perdere senza umiliazione». Molto spesso, però, il modello per i giovani, e non solo, è unicamente quello del vincente, di chi si guadagna la ribalta, il riconoscimento ammirato dei tifosi e un bel conto in banca.

«Così – prosegue Grion – si tende a valorizzare soprattutto i risultati; se quello che conta è vincere allora tutto ciò che mi permette di primeggiare diventa lecito. Se il mio valore si misura solo in termini di risultati, quando questi non arrivano poco conta ch’io abbia dato il massimo, che mi sia impegnato, che abbia messo a frutto le mie potenzialità. Ma vogliamo veramente che i nostri figli si formino nel mito della vittoria costi quel che costi? Se questa strada non ci piace e riteniamo utile e saggio coltivare un’idea, romantica ma non antiquata, di sport come buona pratica di vita e come palestra di vita buona, allora – conclude Grion – è urgente fermarci e riflettere sul senso della pratica sportiva e sui pericoli che lo insidiano, doping innanzitutto».

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