11 novembre 2005
Volume in inglese di una neolaureata
Giovani e moda: dalla tesi al libro
Amalia Cianchi: “C’è una incomunicabilità
intragenerazionale”
Una rielaborazione a due mani della tesi di una neolaureata in Scienze e tecnologie multimediali, il corso di laurea dell’università di Udine, diventa materia di una pubblicazione internazionale dal titolo “Fashion and technology in the presentation of self”. Si tratta della tesi da 110 e lode intitolata “Moda e cellulare: giochi di identità nel mondo giovanile” di Amalia Cianchi, docente di scuola superiore alla sua seconda laurea e delle considerazioni sociologiche del suo relatore, Leopoldina Fortunati. La pubblicazione indaga sulle relazioni tra moda, tecnologia e identità nel mondo dei giovani. La ricerca è stata condotta in un liceo del Nordest dalla primavera del 2004 a quella del 2005, e ha coinvolto 61 studenti (dai 16 ai 23 anni), 61 coetanei della stessa scuola e 61 adulti della stessa provenienza geografica (dai 23 ai 76 anni): complessivamente 183 rispondenti. Gli studenti sono stati fotografati e, attraverso un questionario, hanno poi descritto e commentato il proprio abbigliamento. Successivamente le immagini sono state sottoposte alla valutazione dei coetanei e degli adulti.
«La ricerca – spiega la neolaureata al campus di Pordenone – conferma alcuni dati già conosciuti e studiati. I ragazzi, ad esempio tendono ad esprimere sinteticamente attraverso il linguaggio non verbale idee complesse. Altri elementi emersi invece sono inattesi: le madri hanno mostrato una rilevante e inaspettata influenza sulle scelte legate all’abbigliamento dei figli adolescenti e questo nonostante gli adulti intervistati abbiano dimostrato, con la laconicità anche un po’ imbarazzata delle loro risposte, di non saper leggere i segni e le categorie delle scelte di abbigliamento dei giovani». Sembra emergere il dato di una larga illeggibilità sociale della moda a livello intragenerazionale.
«Nello sperimentare le proprie identità – prosegue Cianchi – i ragazzi innovano, contaminano e trasformano i significati adattandoli alla loro situazione sociale e relazionale. Si muovono inoltre in uno scenario di mercato globale e fanno spesso i loro acquisti in occasione di viaggi. Le tecnologie invece, e quindi anche il cellulare, in situazioni fisse non compaiono: l’apparenza viene vestita solo dalla moda». Il cellulare è sempre più considerata una tecnologia del sé, ma solo se viene colta nello spazio operativo, mobile, cioè quando la gente cammina per strada o va al ristorante ad esempio. «Ma – aggiunge Leopoldina Fortunati – quando si chiede ai ragazzi il permesso di far loro un ritratto fotografico, ecco che il cellulare sparisce nelle borse, nelle tasche, negli zaini. Al punto che probabilmente lo strumento più indicato per studiare la presenza della tecnologia sul corpo è la videocamera».
«La ricerca – spiega la neolaureata al campus di Pordenone – conferma alcuni dati già conosciuti e studiati. I ragazzi, ad esempio tendono ad esprimere sinteticamente attraverso il linguaggio non verbale idee complesse. Altri elementi emersi invece sono inattesi: le madri hanno mostrato una rilevante e inaspettata influenza sulle scelte legate all’abbigliamento dei figli adolescenti e questo nonostante gli adulti intervistati abbiano dimostrato, con la laconicità anche un po’ imbarazzata delle loro risposte, di non saper leggere i segni e le categorie delle scelte di abbigliamento dei giovani». Sembra emergere il dato di una larga illeggibilità sociale della moda a livello intragenerazionale.
«Nello sperimentare le proprie identità – prosegue Cianchi – i ragazzi innovano, contaminano e trasformano i significati adattandoli alla loro situazione sociale e relazionale. Si muovono inoltre in uno scenario di mercato globale e fanno spesso i loro acquisti in occasione di viaggi. Le tecnologie invece, e quindi anche il cellulare, in situazioni fisse non compaiono: l’apparenza viene vestita solo dalla moda». Il cellulare è sempre più considerata una tecnologia del sé, ma solo se viene colta nello spazio operativo, mobile, cioè quando la gente cammina per strada o va al ristorante ad esempio. «Ma – aggiunge Leopoldina Fortunati – quando si chiede ai ragazzi il permesso di far loro un ritratto fotografico, ecco che il cellulare sparisce nelle borse, nelle tasche, negli zaini. Al punto che probabilmente lo strumento più indicato per studiare la presenza della tecnologia sul corpo è la videocamera».