Conferenza d’avvio lunedì 24 febbraio nella Sala della Contadinanza del Castello di Udine
"Biochar Plus", nuovo progetto di cooperazione internazionale con l'Africa
Per contribuire alla salute delle popolazioni rurali, alla salvaguardia delle foreste
e all’aumento della produttività agricola
Coordinato dall’Ateneo, partner l’Organizzazione delle Nazioni unite per lo sviluppo industriale, l’Unione africana e la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale
Migliorare nei Paesi africani l’utilizzo di fonti sostenibili di energia da biomasse e contribuire a ridurre le malattie all’apparto respiratorio grazie all’uso, da parte delle popolazioni rurali, di fornelli pirolitici a basse emissioni nocive che impiegano combustibili alternativi al legno, evitando così la deforestazione. È quanto si propone il nuovo progetto triennale di cooperazione internazionale “Biochar plus” guidato dall’Università di Udine e cofinanziato dall’Unione europea. Tra i partner dell’iniziativa l’Organizzazione delle Nazioni unite per lo sviluppo industriale (Unido), l’Unione africana (Ua) e il Centro di ricerca per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica (Ecreee) della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas).
Per raggiungere contemporaneamente gli obiettivi di portare benefici alla salute, contribuire alla salvaguardia delle foreste e aumentare della produttività agricola il progetto adotta la tecnologia della stufa pirolitica “Elsa Stove”, sviluppata dall’ateneo con il progetto Bebi (www.bebiproject.org), che ha coordinato. Infatti, in virtù delle sue caratteristiche, la stufa pirolitica permette di agire allo stesso tempo su tre versanti: quello sanitario, grazie alle basse emissioni pericolose a differenza delle stufe a legna; quello ecologico, con l’utilizzo di combustibili vegetali alternativi senza intaccare le foreste; quello economico, per la capacità della stufa di produrre carbone vegetale (biochar), un concimante naturale che aumentando la fertilità del suolo ostacola la desertificazione.
L’altra novità del progetto è il coinvolgimento attivo di tutti gli attori, pubblici e privati, dei molti Paesi africani coinvolti nell’iniziativa – a partire da Etiopia, Ghana, Sierra Leone, Togo, Zimbabwe – per sostenere la nascita di filiere locali di produzione dei fornelli pirolitici e promuovere così un autonomo processo di sviluppo socio-economico.
“Biochar plus” è coordinato da Alessandro Peressotti, che dirige un gruppo di ricerca ad hoc del dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’ateneo udinese. Al progetto collaborano anche la Cornell University (Stati Uniti) e le università di Bindura (Zimbabwe), Jimma (Etiopia), Lomé (Togo); due organizzazioni non governative, l’Asa Initiative (Ghana) e Cord (Sierra Leone), e l’azienda Starter (Padova).
La conferenza di avvio del progetto si terrà lunedì 24 febbraio, alle 9, nella Sala della Contadinanza del Castello di Udine. In apertura sono previsti i saluti del sindaco di Udine, Furio Honsell; del direttore del dipartimento di Scienze agrarie e ambientali, Paolo Ceccon; e dei rappresentanti dell’Unione africana, Nadine Elhakim, e dell’Organizzazione delle Nazioni unite per lo sviluppo industriale, Martin Lugmayr. Alessandro Peressotti presenterà poi il progetto. I lavori della conferenza proseguiranno anche martedì 25 (dalle 9.30 alle 17) e mercoledì 26 (dalle 9 alle 13.30) nella sede del dipartimento, al polo scientifico dell’ateneo, in via delle Scienze 206 a Udine.
Il progetto “Biochar plus – Energy, health, agricultural and environmental benefits from biochar use: building capacities in Acp (African, Caribbean and Pacific Group of States) countries” è cofinanziato dall’Unione europea tramite il programma “Acp science and technology programme”.
«Questa ricerca sviluppata per l’Africa – sottolinea il coordinatore Alessandro Peressotti, professore di Ecologia all’Università di Udine –, può avere ricadute anche nei Paesi sviluppati». Fornelli e stufe pirolitiche del progetto “Biochar plus” riducono infatti le emissioni da combustione e, allo stesso tempo, producono il carbone vegetale che può essere utilizzato come serbatoio di carbonio e contribuire così a mitigare i cambiamenti climatici. «Da qualche anno inoltre – spiega Peressotti – è attiva Blucomb, un’azienda spin off dell’ateneo che si occupa proprio di produrre e vendere stufe e carbone vegetale e di sviluppare questa tecnologia».